Tiziano Sclavi, lei ha iniziato sui set dei grandi dell’horror italiano, diventando uno specialista del genere. Poi a un certo punto ha cambiato direzione…
È stato un processo naturale. Col film Dellamorte Dellamore segnai un po’ un giro di boa per il genere. Non era più solo un “film de paura”, un horror tradizionale, era anche commedia, e c’era un messaggio un po’ più profondo dietro, come avviene sempre con i testi di Tiziano Sclavi. Quel film mi ha dato successo, mi ha portato in America, e mi ha portato tantissime proposte lì negli States. Solo che erano tutte storie molto deboli, mentre io volevo puntare più in alto. A forza di rifiutare sono arrivato a un momento di stallo: il mondo del cinema americano non mi piaceva, Los Angeles nemmeno; quel tipo di società, quel tipo di mondanità non le sentivo adatte a me. E allora me ne sono tornato in Italia. E qui mi è arrivata l’occasione della prima fiction, con l’action Ultimo. Da lì si è aperta una nuova occasione di carriera che ho abbracciato, in attesa che si presentasse qualcosa di interessante per il cinema. Poi sono arrivati progetti per il grande schermo come Arrivederci amore ciao, Il sangue dei vinti e La Befana vien di notte che mi hanno permesso di variare su fronti diversi.
Tornerebbe prima o poi al genere?
Certo, purché ci sia una buona idea di base. La cosa bella del cinema, che in buona parte io sono riuscito a portare anche in televisione, è la libertà. E l’horror è libertà, ci puoi mettere dentro di tutto, continuando a seguire quel filo rosso che è il dominio dello spettatore attraverso la paura, le emozioni. Al cinema o in tv, alla fine, il lavoro è molto simile, le inquadrature da fare solo le stesse. La differenza magari è nei contenuti. Quello che interessa a me è la visionarietà, da proporre allo spettatore come fosse un quadro. La soddisfazione appagante è identica. Magari quello che ti manca è la sensazione di sapere di quei 1.000 spettatori tutti insieme davanti a uno schermo enorme, terrorizzati da quello che gli stai mostrando.
Perché in Italia non si producono serie horror?
È una domanda che andrebbe fatta alle piattaforme. Io sono un artigiano, faccio le cose con la testa e con le mani, sono appassionato di molte cose, con il mio lavoro faccio molte ricerche, mi piace approfondire. Ma la risposta a questa domanda probabilmente implica una certa dimestichezza con i numeri… e io per la matematica non ho mai avuto grande simpatia! In questo periodo sono tra la fine di un lavoro e l’inizio di un altro. Essendo un po’ più libero, ho avuto modo, dopo tanti anni di richieste, di frequentare un po’ di festival di cinema horror, l’ultimo a fine ottobre a Livorno. Certo mi piacerebbe andarci con un lavoro nuovo, invece diventa sempre un’opera di riesumazione di cose passate. Però ho ricevuto moltissimo calore ovunque sia andato. E ho visto tanti giovani, appassionatissimi, con in mano le vecchie locandine da autografare. Per me è stato bello fare un bagno in un passato a cui siamo tutti, bene o male, legati. Ma è stato anche un bel segnale di interesse verso il genere. Certo, con il tempo le tendenze e i gusti sono cambiati, tanto che anche io mi sono adattato al mercato. Però posso ancora permettermi di scegliere. Per questo sto comunque portando avanti dei progetti “di genere”, perché mi affascinano sempre, e mi piacerebbe tanto tornarci e provare a innovare, anche se non mi considero il faro di questo tipo di cinema. Purtroppo, non è facile incontrare l’interesse delle piattaforme. Ho provato a proporre una serie da Dellamorte Dellamore, il romanzo di Sclavi di cui avevo già diretto il film, ma ci sono molte difficoltà. Però devo dire che un segnale d’interesse c’è stato.
Qual è l’ostacolo da superare?
C’è un problema di diritti da risolvere, che sono legati a quelli del film e sono sparpagliati fra più proprietari. Sto cercando piano piano di recuperarli tutti.
Quindi un suo ritorno all’horror è più probabile in tv che al cinema?
Per ora questa serie è ancora solo una speranza, ma intanto c’è. Per il cinema sto progettando delle storie, ma è una faccenda un po’ diversa. Il mestiere mi ha insegnato che se hai una storia forte, puoi anche limitare i costi e produrre con un budget basso. Dunque, il problema non sono tanto i costi quanto l’originalità dell’idea. Avere il tempo per svilupparla, trovare gli scrittori giusti, un produttore che ci creda. Certo, poi la produzione ovviamente ha le sue complessità. Oggi per una serie si hanno a disposizione dei mezzi che certo cinema si sogna. Quindi ti chiedi: ma perché devo sudare sette camicie, arrangiandomi per portare in sala un film, quando in televisione riesco ad avere idee, mezzi e strumenti per esprimermi al meglio?
Lei è uno spettatore assiduo di serie?
Mi capita di vederne, ma non sono uno spettatore accanito. Qualche tempo fa mi è capitato di rivedere il mio La chiesa, un lavoro abbastanza visionario e scatenato; ogni scena era progettata, disegnata e costruita. Questo in genere non ti è permesso in tv, ti devi un po’ adattare a ciò che trovi, nonostante i mezzi siano notevoli. Anche se oggi l’Intelligenza Artificiale ti può dare un grande aiuto. Per questo sono molto interessato alle piattaforme e a proporre una versione seriale di Dellamorte Dellamore. Anche per un discorso di libertà creativa. Per quanto ci sia una Rai2 più aperta in questo senso, quello che si può mostrare su Netflix o simili va molto oltre.
Ci viene ancora riconosciuta all’estero quella maestria nel proporre un cinema di genere artigianale ma altamente efficace?
Credo di sì, anche se quello che più mi colpisce, e ne ho avuto dimostrazione in queste esperienze di festival, è la quantità di giovani che sono legati al cinema di quell’epoca. Ho visto gente veramente “malata”. A Livorno una persona è arrivata dalla Francia solo per parlare con me. Credo che aldilà del caso Tarantino, ci sia anche tutta una schiera di persone che studiano cinema o che a vario titolo si appassionano, che vanno a ricercare quell’immaginario lì. Questo potrebbe essere indice di una nuova “chiamata” verso l’horror e la produzione di genere. Se a questi festival non incontro gente della mia età, ma giovani appassionati, vorrà pur dire qualcosa. È una passione che si rinnova di generazione in generazione.
Con le piattaforme abbiamo superato il problema della censura, sappiamo che il pubblico, e in qualche modo anche le risorse per produrre. Ma allora perché non facciamo l’horror in Italia?
Quello che manca forse è la capacità di adattare una reazione antica come la paura in un contesto attuale, che invece è la grande forza degli anglosassoni. C’è stato forse uno scollamento fra chi produce e chi scrive le storie. Noi avevamo un grande patrimonio che era quello di Dylan Dog. Ne è stato tratto un film inguardabile, doveva essere fatta una serie tv, sono anni che se ne parla, ma non l’abbiamo ancora vista. Quello era un patrimonio tutto italiano che avrebbe incontrato sicuramente il gusto di tutti. Sarebbe potuto essere un successo internazionale, tipo Stranger Things: horror ma fino a un certo punto, con grandi emozioni, personaggi che hanno un cuore, tutti elementi che garantiscono una narrazione coi fiocchi. L’abilità si trova nella scrittura, ma finché non ci sono produttori che commissionano i temi giusti da sviluppare e coniugare col sentire di oggi, è un’abilità fine a sé stessa. Ma la serie è un veicolo molto interessante, e secondo me prima o poi arriveranno delle opportunità anche per l’horror italiano.
L’articolo completo è stato pubblicato su Tivù di dicembre 2023, scarica il numero o abbonati qui
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