Un settore vivace, con un grande potenziale inesploso. Sono queste, in estrema sintesi, le caratteristiche del mercato italiano della produzione indipendente di intrattenimento. Lo certifica la ricerca “Il valore della produzione. L’intrattenimento come risorsa economica e culturale» condotta da Ce.R.T.A (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) per Apt. Se quello del Regno Unito, con i suoi 1,5mld di fatturato (pari all’8,8% sul comparto) è un valore distante, l’intrattenimento indipendente italiano (0,3% del comparto tv e 0,3mld di euro) registra comunque una crescita positiva. In Francia, invece, si punta sull’esportazione di format e sulle factory creative, una tendenza che si osserva anche in altri Paesi come Israele, Irlanda e Olanda. In Italia l’intrattenimento rappresenta un genere chiave, con 290 programmi di questo genere, 13.850 ore di messa in onda. Di queste, solo il 31% sono realizzate da produttori indipendenti. Factual e infotainment coprono il 54% dell’offerta complessiva, mentre i generi privilegiati dalla produzione indipendente sono game, reality e talent, collocati in access, preserale e prime time. Per quanto riguarda i format, l’Italia manda in onda solo il 5% di programmi originali. A livello occupazionale, le indipendenti impegnate nell’intrattenimento hanno solitamente una struttura snella e flessibile, che però tende a generare più precariato che stabilità. Quattro sono le questioni aperte relative a una crescita futura del settore:
– l’esportazione è penalizzata dall’assenza di sinergie tra produttori e broadcaster e la scarsità di professionalità specifiche in grado di presidiare i mercati internazionali;
– la questione dei diritti, spesso contesi tra produttori e broadcaster;
– le procedure di commissioning legate a criteri non stabili;
– il tema delle modalità produttive e realizative dei programmi.
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