Cinque punti per salvare il RomaFictionFest

Diciamocelo pure, a giudicare dalla lunga, contraddittoria – a tratti disperante – gestazione, la V edizione del RomaFictionFest, che si apre questo 25 settembre, non nasce sotto una buona stella. Vuoi per i tempi di preparazione, brevi troppo brevi, per poter assicurare una riuscita credibile; per le risorse: quelle economiche dimezzate, quelle editoriali “accomodate” (diversi produttori non sarebbero stati coinvolti, altri lo sono stati in extremis e non è detto che il preventivo coinvolgimento dei broadcaster possa sopperire a tutto); per l’impianto organizzativo: malgrado la buona volontà di pochi (il direttore di Apt Chiara Sbarigia in particolare) non si possono aspettare miracoli da uno staff che – con la cancellazione della Fondazione Rossellini – ha smarrito in buona parte il know how accumulato durante le edizioni precedenti. E dove mettiamo il vuoto progettuale della Regione Lazio, che per mesi ha fatto e disfatto, dicendo tutto e il suo contrario, per poi lasciare la patata bollente nelle mani di Apt? Compresi i tanti, troppi, creditori delle edizioni precedenti ancora alle porte, le cui pendenze aspettano da tempo di essere saldate. La situazione è subito apparsa così critica che anche qualche soggetto di primo piano che in passato ha imperiosamente rimestato per giostrare da prim’attore l’insieme dell’organizzazione, si è defilato alla chetichella: troppo alto il rischio di metterci la faccia in un evento che presenta tutti i presupposti di una riuscita fortunosa. Ma tant’è, non resta che sperare. Se non altro che una manifestazione com’è il RomaFictionFest, che ha ogni diritto e validità per essere perpetuata, porti a casa – malgrado tutto – un risultato accettabile. Una soglia minima al di sotto della quale si dovrà valutare se non sia meglio chiudere con questa esperienza, piuttosto che falla vivacchiare per poi vederla morire, miseramente, di consunzione. Diciamo che certo – per ovvi motivi logicistici (l’indisponibilità del Cinema Adriano) – lo spostamento delle proiezioni all’Auditorium Parco della Musica non depone a favore di un’ampia partecipazione di pubblico, come invece dovrebbe essere per un festival che si propone come popolare e non essenzialmente per addetti ai lavori. E poi, se quello che viene definito lo star system italiano della fiction – finalmente libero dagli impegni estivi sui set che nelle edizioni precedenti ne avrebbero impedito la partecipazione – presenzierà in massa agli eventi, in modo da attirare i fan e dare lustro al settore (e per, una volta tanto, non apparire i cugini poveri del cinema), forse può esserci una speranza di ampliare la kermesse che corre il rischio di essere autoreferenziale. In più, se l’impianto della sezione business dovesse recedere, dopo solo due edizioni, la credibilità internazionale della manifestazione potrebbe risultarne definitivamente compromessa. Per un festival che stavolta viene organizzato direttamente dall’Associazione dei produttori televisivi, la qualità del dibattito (riflessioni, tavole rotonde e incontri) dovrà farsi carico di approfondire, più di quanto non si sia fatto in passato, le emergenze del settore. E infine, un’ultima ma non da ultima raccomandazione. Lo spostamento del Rff a settembre deve regalargli quella visibilità televisiva che non ha mai avuto: un festival dedicato alla fiction, genere principe del palinsesto, di cui – com’è stato nelle altre quattro precedenti edizioni – non si parla in tv, è un controsenso. Se il RomaFictionFest non diventerà finalmente un appuntamento e un brand per la stessa televisione, il festival non ha ragione di essere. Perché vorrà dire che le reti, che ne sono le prime beneficiare sotto il profilo promozionale dei titoli che andranno a presentare, non sanno che farsene. Visibilità, business, riflessione sul mercato, star system e pubblico: cinque sono i punti su cui questo Rff non potrà permettersi di deflettere. Pena l’opportunità stessa della sua sopravvivenza.
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