L’Italia diventa un caso per l’audiovisivo francese. La variazione, al ribasso, della quota di fatturato che gli streamer devono destinare alla produzione audiovisiva nazionale ed europea si è tradotta in una riduzione delle commissioni stesse. A dirlo è un rapporto della CNC (Centre national du cinéma et de l’image animée), dal titolo Streamers Investments in Europe, presentato il 27 marzo nel corso di SeriesMania, all’interno di un acceso e interessante dibattito sulla potenziale revisione della direttiva AVMS – Direttiva sui servizi di media audiovisivi nel 2026 (Preserving a virtuous european model: The challenges of the 2026 AVMS revision). Il grafico (nella foto) vede un drastico crollo delle commissioni originali degli streamer in Italia dal 2023 al 2024 (anno delle nuove quote), soprattutto per Prime Video e Netflix, i due attori già più presenti nella produzione audiovisiva italiana. Si fa riferimento, in particolare, alla riduzione dal 20% al 16% del giro d’affari da destinare alle opere europee. Il grafico considera anche Max che, come ben sappiamo, non è presente in Italia e che presumibilmente fa riferimento ad alcuni titoli di discovery+. Giusto per fornire qualche dato aggiuntivo, secondo il Sesto Rapporto sulla produzione audiovisiva nazionale di APA, il valore della produzione 2023 dei titoli Italian original valeva 2 miliardi di euro, di cui 290 milioni afferenti al Vod (+16% sul 2022).
IL RUOLO DEGLI OBBLIGHI DI INVESTIMENTO IN EUROPA
Altro dato interessante del rapporto CNC riguarda proprio gli impatti della direttiva sulle commissioni di opere audiovisive. Guardando all’evoluzione dal 2020 al 2023, le commissioni di opere originali europee (tutti i tipi di contenuti) da parte degli streamer globali hanno visto un incremento del 146% nei Paesi con obblighi di investimento diretto e del 73% nei Paesi senza obblighi. Lo scarto è ancora maggiore se si guarda solo la produzione tv scripted: +140% nelle commissioni annunciate ogni anno nei Paesi con obblighi di investimento diretto. Più ampio, per forza di cose, l’analisi della realtà francese, dove tra il 2021 e il 2023, come parte dei loro obblighi, Disney+, Netflix e Prime Video hanno investito complessivamente 866 milioni di euro, pari al 19% del totale investimenti degli editori. Di questi, 703 milioni in opere audiovisive.
LA BATTAGLIA CULTURALE
«Le opere audiovisive non solo un mero bene», ha dichiarato Olivier Henrard, Directeur Général Délégué di CNC, introducendo il panel di Series Mania. «I maggiori Paesi che producono audiovisivo sono intervenuti; gli obblighi di investimento impattano sulla produzione; sono attaccati perché funzionano, ha dichiarato. Parole che assumono tutto un altro peso se si considera quanto accaduto dopo il 27 marzo: il “liberation day trumpiano”, ovvero l’annuncio dei dazi del 2 aprile, la multa europea a Meta e Apple per violazione del Digital Markets Act e l’apertura del Regno Unito a una streaming tax. Tanto che Laurence Farreng, membro del Parlamento europeo (gruppo Renew Europe) aveva aggiunto in seguito: «Il dibattito sulla AVMS è molto più grande dell’audiovisivo, rientra nel più ampio dibattito sulla sovranità europea, attaccata in molti campi, dalla sicurezza al commercio alla cultura».
In caso di citazione si prega di citare e linkare tivubiz.it