Laccio: la scuola dell’anima

Emanuele Cristofori, in arte Laccio, ha curato la direzione artistica di megaeventi, dalla cerimonia di apertura dei mondiali in Qatar alla performance di Laura Pausini all’Eurovision Song Contest 2022. Dal 2020 è direttore artistico di X Factor
Laccio ha curato la performance di Laura Pausini all'Eurovision Song Contest 2022 (©Ebu/Rai)

Lei rappresenta l’avanguardia della performance in senso hi-tech, quali sono gli elementi che contraddistinguono nella sua esperienza il ruolo di direttore artistico?
Quando ho iniziato a lavorare c’era soprattutto il videoclip, solo canali come MTV dedicavano a quello che era lo spettacolo un occhio in più, ma oggi ci sono molti più show all’interno dei quali gli artisti hanno la possibilità di esprimersi. L’evoluzione è dovuta all’ingresso di tutta la componente visual, dei network, della spinta tecnologica all’interno delle varie fasi dello spettacolo. Questi elementi hanno in qualche modo richiesto un lavoro di collaborazione tra reparti. Prima c’era una scenografia che era uguale per tutti quindi la coreografia diventava fondamentale. Oggi invece, dando la possibilità di firmare attraverso coreografia, visual e luci tutto l’insieme, la tecnologia ha costretto tutti i reparti a comunicare. E la figura di direttore artistico è fondamentale per far sì che nessun reparto lavori in modo individuale.

Quanto la direzione artistica può realmente influire sulla performance generale dello spettacolo?
Lavorare sull’immagine aiuta l’artista, anche perché oggi i social raccontano per immagini. Il livello di attenzione diminuisce, la fruizione dei media è sempre più veloce per cui è più facile che ci catturi un’immagine rispetto ad altro. Poi, se il contenuto è buono rimane. Se non lo è può avere un picco ma poi svanisce. Oggi ci sono dei prodotti “usa e getta”, e questo con il tempo si vede subito. È come un libro dalla copertina scintillante, e una bella copertina aiuta le vendite ma poi per restare sul mercato ci deve essere la sostanza. A volte ci si concentra sulla “copertina” degli artisti e non sul lavoro vero da programmare nella vita, dietro le quinte. Quando le due cose camminano insieme allora si lascia il segno. L’artista che rimane è quello che ha dei contenuti ed è anche un po’ manager della propria vita.

Visti gli aspetti di cui è composta questa professione, il direttore artistico può ancora essere una persona sola?
Io credo molto nella squadra, ma è chiaro che la responsabilità del direttore artistico è al di sopra di tutti nel bene e nel male, nei meriti e nei demeriti. La squadra è ciò che permette in qualche modo di portare avanti più progetti e di curarli ancora meglio e rispetto agli anni ’90 il team è diventato fondamentale. Io mi sono formato professionalmente e sono cresciuto in gruppi di lavoro, mentre nel passato la figura del direttore artistico era vista come l’artista di eccezionale esperienza e talento, dalla visione a 360° con un approccio personalistico

Qual è la giusta distanza affinché l’artista rimanga fedele a sé stesso?
Quando sceglie un direttore artistico l’artista è di per sé già affascinato; quindi, chiaramente l’influenza che può avere è importante. Però è proprio lì che si deve avere la sensibilità di capire fino a che punto ci si può spingere senza snaturare l’artista. Per me X Factor è stato un luogo dove sperimentare con le sensibilità dei ragazzi e giocare con l’estetica senza andare a trasformare, una vera fucina che poi mi permette, fuori, di portare in scena spettacoli con artisti più navigati nella maniera corretta.

Cambia il ruolo di un direttore artistico quando deve lavorare con degli artisti in una fase emergente come i talenti di X Factor piuttosto che con star come Pausini?
La differenza fondamentale sta nel fatto che un artista affermato ha una storia, un vissuto artistico, che un buon direttore deve tenere in considerazione. Un talento emergente no. In entrambi i casi è uno stimolo a trovare nuove vie e modalità espressive, sempre attraverso il dialogo. Anche ai ragazzi di X Factor non impongo nulla, non sono io il protagonista, ma l’artista che ho davanti. Propongo una direzione che mi convince, ma io lavoro per loro, non il contrario.

Qual è la caratteristica da cui si fa ispirare come primo approccio a un talent che chiede di essere valorizzato in una performance?
Cerco di portarlo in mondi dove non è mai stato. Si comincia da una storia, qualche cosa che racconti, che poi sia minimalista o più ricca è secondario. Quando Laura Pausini, ad esempio, mi ha chiesto di mettere in scena Scatola a Sanremo 2022 non c’era una un punto chiaro di partenza se non l’idea di voler raccontare. E alla fine abbiamo proposto una performance molto concettuale, anche difficile da leggere, ma con un impatto estetico importante. Abbiamo immaginato fosse circondata da bastoncini di luci, uno sull’altro come nel gioco dello shangai. Ogni bastoncino rappresentava un ricordo, delle emozioni, e cadevano uno a uno. Poi, che a casa arrivi o no questo messaggio non è fondamentale, se fosse facile da leggere sarebbe didascalico, mentre il contenuto simbolico lavora nel profondo.

Lei è nativo digitale, che rapporto ha con la tecnologia nella performance e negli show?
La tecnologia e le novità in generale hanno tutte un punto di forza e bisogna saperle usare. Al tempo stesso però mi piace alternare il digitale con l’analogico, credo che per dare forza all’intelligenza artificiale non si debba tralasciare il reale, è l’insieme delle due cose che diventa interessante. Lavorare solo con la tecnologia rischia di essere troppo freddo, rispetto a tutte le possibilità che offre l’arte in senso lato. Detto questo, non ho paura delle novità, anzi, cerco di capirle e di scoprirne il lato bello. Faccio uso dell’intelligenza artificiale anche per presentazioni e simulazioni. Ma non dobbiamo abbandonare il mestiere.

Quali sono i trend che si svilupperanno nei prossimi 5/10 anni dello spettacolo in generale?
Credo che vedremo il ritorno della parte umana delle cose, sarà un grande punto di riflessione. Abbiamo tutto, tecnologia, intelligenza artificiale, ma si ritornerà a concentrarsi sull’uomo, sull’analisi delle cose più tangibili e sull’aspetto umano in qualsiasi settore.

Festival di Sanremo: se fosse il direttore artistico cosa cambierebbe?
Se avessi la totale libertà tornerei a un contenitore un po’ più patinato, l’ho trovato molto popolare negli ultimi anni. Direzione giusta, come abbiamo visto dagli ascolti che hanno premiato questa scelta, ma lo renderei comunque un po’ più elegante. E la tecnologia sicuramente non sarebbe protagonista. (di Maria Pierangeli)

L’articolo completo è stato pubblicato su Tivù di luglio/agosto 2024, scarica il numero o abbonati qui

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