Quando, nel 2022, le voci dell’arrivo della pubblicità su Netflix divennero realtà, si disse che quello sarebbe stato il momento della svolta anche per l’analisi delle audience Ott. «Ora che Netflix avrà a che fare con gli inserzionisti», era il pensiero ricorrente, «quindi con chi mette tanti soldi proprio per quelle “teste” che guardano i contenuti, le grandi piattaforme (video, ma anche social) scenderanno finalmente a patti con il mercato, accettando di farsi rilevare per lavorare e competere su una currency comune». A maggior ragione perché uno dei mantra che ricorre in tutto il settore Ott è che la concorrenza faccia bene… A stretto giro, dopo Netflix la pubblicità è arrivata anche su Prime Video, Disney+ e così via. Le piattaforme Ott sono parte del più ampio mondo digital (non solo video, ma anche display e search) che piano piano ha cominciato a stimolare (e preoccupare) i mezzi pubblicitari “tradizionali”. Parliamo di un mercato pubblicitario complessivo, quello italiano, che nel 2024 ha chiuso con un giro d’affari di 9,5 miliardi di euro (+3,8% sul 2023) di cui 3,8 miliardi generati dalla televisione (+7,3%) e 4,2 miliardi dall’universo web advertising che comprende, nelle stime Nielsen (stima, appunto) anche search, social, classified e Ott (sarebbe un +1%, invece, se si considerasse il solo perimetro Fcp AssoInternet). Tornando a quel 2022, a ben guardare sono passati poco più di due anni: nel “vecchio” mondo analogico sarebbero una fase introduttiva, ma in quello attuale sono quasi troppi e la situazione ha bisogno di una soluzione. Invece, pare di essere in uno stallo alla messicana, dove ognuno punta la sua pistola verso l’altro senza riuscire a sciogliere la situazione. O meglio, come vedremo nelle prossime pagine, alla fine qualcuno sarà costretto a farlo, ovvero Agcom, che sinora, nelle parole del suo presidente Giacomo Lasorella, ha sempre avuto un atteggiamento «sempre estremamente rispettoso dei tempi e dei modi dell’evoluzione del mercato». Per il mercato italiano, dunque, il 2025 pare essere l’anno di svolta: i lavori elaborati dalle Audi (su tutte Auditel e la Total Audience, Audicom e la Ricerca integrata) stanno “convergendo” – parola chiave – per arrivare nel prossimo futuro alla rilevazione Total Campaign, «la misurazione onnicomprensiva delle performance pubblicitarie su tutti i mezzi, che consentirà di comprendere il reale contributo di ciascuna piattaforma al successo di una campagna», nella definizione data da Lorenzo Sassoli De Bianchi, presidente Auditel. La strada della Total Campaign vede la collaborazione di tutte le Audi (Audicom, Audioutdoor, Audimovie, Audiradio e Auditel), che lo scorso 5 marzo, nel convegno MediaTelling (cfr. art. pag. 46) hanno dichiarato di voler seguire, tutte, il medesimo progetto. Tra le tante voci si sente poco, o per nulla (o forse è meglio dire non chiaramente), proprio quella delle Ott, che al di là della conferma di essere presenti ai vari tavoli di lavoro con la massima disponibilità al dialogo, poco o nulla hanno accettato. Tutto pare girare intorno a una domanda: SDK o server-to-server? Dietro questo dubbio si gioca una partita non solo italiana. Lo sforzo che i JIC stanno compiendo potrebbe – se giocato bene – diventare una case history europea. E in epoca di Media Freedom Act non è certo cosa da poco.
UNA QUESTIONE NON SOLO ITALIANA
Della rilevazione degli ascolti in ambito digitale, e in particolare delle piattaforme social e video, si parla da diverso tempo e non solo nel nostro Paese. E le soluzioni in discussione appaiono molto diverse. Nel 2023 l’americana OpenAP, società di pubblicità avanzata, aveva annunciato la formazione di un JIC (Joint Industry Committee) con lo scopo di creare un processo di certificazione degli ascolti che prevede la partecipazione di Fox, Nbc Universal, Paramount, TelevisaUnivision, WarnerBros. Discovery e Vab. Lo scorso anno l’US Joint Industry Committee aveva annunciato che le currency scelte sarebbero state quelle sviluppate da Comscore e VideoAmp. Gli Upfront 2025 dovrebbero rivelare ulteriori dati. Vale la pena ricordare – proprio per sottolineare che non si tratta di una peculiarità tutta italiana e di una sola parte del mercato – che tra le richieste di attori e sceneggiatori Usa che hanno portato agli scioperi c’era anche quella di avere dati sui risultati dei prodotti sulle piattaforme streaming per calcolare i residual. Questo gennaio, in Europa, un gruppo di JIC, Moc (Media Owner Committee, associazioni di editori, come fu un tempo il Tavolo editori radio prima di Audiradio in Italia), e società di ricerca professionali hanno dato vita all’associazione AMC – Audience Measurement Coalition. I membri fondatori sono i JIC Médiamétrie (Francia), ARMA (Romania) e MMS (Svezia), e le società di ricerca Nielsen, Kantar Media e GfK. Altri membri che si sono uniti sono AGF – Videoforschung GmbH (Germania), CIM (Belgio), Danske Medier Research (Danimarca), Finnpanel (Finlandia), Mediapulse AG per la ricerca sui media (Svizzera), NMO (Paesi Bassi), Norwegian MOC (Norvegia), TAM Ireland, WEMF (Svizzera), Comscore, Gemius e Ipsos. Obiettivo è quello di fornire ai regolatori europei una voce unica per tutte le policy relative alla misurazione dell’audience nel quadro dell’adozione dello European Media Freedom Act. Eppure, già guardando la composizione dell’associazione, si capisce che la voce unica con cui essa meritoriamente vuole presentarsi così unica non è, considerato che ci sono JIC – a partire dagli italiani Auditel e Audicom e l’inglese Barb, per citare i più prestigiosi – che non hanno aderito. Addirittura, in alcuni Paesi non si discute neanche tra metodologia SDK vs Server-to-server (si veda in seguito), ma si adottano, per la misurazione delle piattaforme OTT, solo metodologie campionarie. Nel Regno Unito, Barb ha annunciato l’estensione della rilevazione ai canali YouTube visti da televisore: si tratta di 200 canali (selezionati per volumi di visualizzazione) che dal terzo trimestre 2025 verranno inseriti nei dati audience giornaliera. L’analisi viene realizzata da Kantar Media tramite tecnologia di riconoscimento automatico in audio-matching (ARC) per identificare i canali sui tv set dei panelisti Barb. Una soluzione che non contribuisce a misurare con precisione il fenomeno, concentrandosi invece solo su una porzione dei contenuti degli OTT, quella di maggior successo, generando inevitabili asimmetrie. In Francia, Médiamétrie ha avviato il progetto Cross Média Vidéo che misurerà, sempre via panel, il consumo video dei principali servizi Svod attivi nel Paese (Net‑ix, Prime Video e Disney+), così come i servizi on demand dei broadcaster francesi (come Tf1+, M6+ e france.tv). L’idea è di fornire i primi dati sul consumo Svod da luglio. Dovrebbe essere della partita anche YouTube, mentre Meta avrebbe declinato l’invito. Si tratta, anche in questo caso, di metodologie campionarie che – secondo gli esperti di statistica – non sono in grado di cogliere la granularità e la frammentazione dei consumi dei contenuti e degli spot in ambiente digitale.
SDK O SERVER-TO-SERVER?
La situazione diversificata dei sistemi media e delle relative governance, nei vari Paesi, gioca a favore della “Babele” di sistemi. Prima di procedere, però, è opportuno chiarire per bene in cosa consistano le due metodologie oggetto di discussione. La contrapposizione tra le due è infatti solo apparente. In tutti i sistemi di misurazione di cui si sta attualmente discutendo, viene utilizzata la medesima filiera di raccolta, validazione ed elaborazione dei dati. C’è sempre un SDK (software development kit), in testa al processo, embeddato nei player delle piattaforme, che raccoglie i comportamenti di visione su ciascun device. Un server raccoglie questi dati e su questo server avvengono le operazioni di pulizia e filtraggio dei dati, validazione, elaborazione e produzione delle metriche. Il fatto dirimente, l’elemento che fa la differenza tra le varie proposte sul tavolo, è chi fa cosa, e chi gestisce quali fasi del processo. Il metodo cosiddetto SDK, adottato da Auditel e Audicom, prevede che questa componente fondamentale, da cui dipende la raccolta dei dati all’origine, sia del JIC, venga settato e operato da quest’ultimo e passi i dati direttamente al suo server. In questo modo si minimizza il rischio che il soggetto misurato possa in qualche modo interferire con la misurazione. Le tecniche cosiddette “server to server” prevedono invece che l’SDK sia quello del soggetto misurato e venga operato da questo; e che anche alcune fasi del processo successivo di filtraggio, validazione ed elaborazione dei dati (in numero variabile, a seconda delle diverse soluzioni) vengano anch’esse svolte dal soggetto misurato stesso, che poi passa il risultato delle proprie elaborazioni ai server del JIC. I dati di prima parte vengono quindi gestiti in in maniera autonoma, controllandole direttamente. Un asset strategico, naturalmente, che non ha però la garanzia di un ente terzo che li certifichi come avviene nel controllato dato degli ascolti dei broadcaster tv. È come se i dati fossero “autoprodotti” e poi certificati da qualcuno. La contrapposizione tra SDK e server-to-server si può quindi più opportunamente tradurre in quella tra automisurazione dei soggetti, in qualche modo validata/ certificata dal JIC (tramite audit) e misurazione diretta e indipendente da parte dello stesso JIC. E, finora, nessuna Ott si è ancora fatta misurare “direttamente” da un ente indipendente.
PAESE CHE VAI…
Il JIC (joint industry committee) è la casa comune di tutte le componenti del mercato: un ente dove i rappresentanti di domanda e offerta (nel caso specifico broadcaster/editori, investitori pubblicitari, agenzie e centri media) hanno lo stesso peso in termini di modello di governance Nelle sedi tecniche dei JIC ci si accorda sulle metodologie, sulle convenzioni e sulle definizioni che fondano le metriche ufficiali. Le cosiddette currency, la valuta corrente. A occuparsi delle rilevazioni ci sono poi i vari istituti di ricerca, che – tra l’altro – tramite accordi specifici forniscono anche le strumentazioni necessarie (l’SDK di Auditel è di proprietà del JIC su licenza Comscore, per esempio). L’attendibilità dei dati di audience di un JIC come Auditel è garantita da un sistema di controllo che comprende, tra gli altri, diritti di proprietà intellettuale su infrastrutture, protocolli, know-how e database al fine di garantire un presidio integrale sull’intero processo e la totale trasparenza e un protocollo di “riproduzione” del dato affidato a un revisore terzo, eseguibile anche a distanza di mesi dalla pubblicazione. Non tutti i Paesi hanno un JIC. E non tutti i JIC hanno instaurato (o tentato di instaurare) lo stesso rapporto con le piattaforme. Esistono JIC in Germania (Agf e, per la parte second screen, Dna-Agma), Regno Unito (Barb e Ukom per il second screen) e Francia (Mediamétrie). Non esistono invece in Spagna, dove la rilevazione è afdata a degli istituti di ricerca: Kantar per la parte broadcast tv, Gfk e Comscore per quella su CTV e second screen. La misurazione della tv broadcast avviene in tutti i Paesi citati tramite panel: in Italia, Spagna e Germania si adotta la rilevazione in audio matching (confronto digitale delle firme audio della trasmissione). In UK, Barb usa sia tecnologie audio matching che water marking (codici sorgente incorporati nei contenuti), mentre Médiametrié, in Francia, utilizza il water marking. CTV e second screen sono rilevate (su – gli ambienti proprietari) tramite SDK. Sulle piattaforme degli OTT, invece, come si diceva, la rileva – zione avviene tramite panel.
L’ECCEZIONE CHE PUÒ FARE SCUOLA
L’unica piattaforma Ott che si fa misurare da un JIC tramite un SDK di sistema è Dazn, in Italia, obbligata da Agcom a sottostare alla rilevazione Auditel in virtù della legge Melandri (le audience tv, certificate dal JIC, sono uno degli elementi che va a definire la ridistribuzione dei ricavi tra i club). Un passaggio che, all’inizio, era stato contestato e contrastato, perché avrebbe comportato problemi tecnici, degradazione del livello di servizio, rischi per la privacy… Tutte criticità che però, alla prova dei fatti, non si sono manifestate, come ha ricordato il presidente di Agcom nel suo intervento a MediaTelling: «la delibera n. 18/22/CONS, con la quale è stata chiusa l’istruttoria avviata nei confronti della società Dazn ha rappresentato il primo caso di estensione alle piattaforme di una misurazione effettuata attraverso le metodologie elaborate e consolidate da un JIC, senza peraltro che si verificasse nessuno dei rischi e degli inconvenienti tecnici che erano stati paventati in origine». Eppure, problemi tecnici, operativi e legali continuano a essere le argomentazioni citate ancora oggi. Recentemente, è stata Amazon Prime Video a ribadirlo, rifiutando l’inserimento dell’SDK per rilevare gli ascolti della Serie A di Dazn, spegnendo dunque il canale sulla piattaforma. Altro argomento spesso ribadito dagli OTT è la necessità di rispettare la loro “policy globale”: l’Italia – col suo sistema normativo, regolamentare e di mercato – sarebbe dunque un’eccezione sul panorama internazionale e non varrebbe la pena adeguarsi per un singolo Paese. Un “gran rifiuto” che ha lasciato l’amaro in bocca in quel di Agcom (e non solo). L’Autorità non è però interessata solo all’assetto italiano: il presidente Lasorella presiederà il gruppo di lavoro che, in seno al “Media Board”, il nuovo Comitato europeo per i servizi di media che ha preso il posto di Erga, si occuperà della tematica della misurazione dell’audience. Ecco perché, se Auditel (e Audicom) vincessero questa partita, l’esempio italiano arriverebbe in Europa con una portata davvero significativa.
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