«Vogliamo valutare e capire insieme che tipo di impatto ha il tipo di modello che il Governo ha in mente per la Rai». Lo ha detto Luigi De Siervo, presidente AdRai, l’associazione che riunisce il 90% dei 340 dirigenti dell’azienda pubblica, che ha organizzato, ieri a Roma, “100 parole e 100 mestieri per la Rai”, una giornata di riflessioni e proposte, divisa in otto aree tematiche e con decine di relatori, tra giornalisti, artisti ed esperti. «Siamo un gruppo di dirigenti che non ha paura del cambiamento e nemmeno dei tagli. Abbiamo letto e discusso un decreto che ha imposto un taglio profondo e nel quale ci sembrava sbagliato il metodo», ha aggiunto De Siervo. Tra i primi interventi, quello di Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai, che suggerisce un modello di azienda pubblica per azioni, con una quota del 75% in mano alla Cassa Depositi e Prestiti e un 25% quotato in Borsa. Invece Andrea Camilleri, che ha lavorato a lungo nella Rai, ha spiegato, in un intervento filmato, che il servizio pubblico deve essere «come un autobus che serve tutti i passeggeri, qualunque siano il loro grado di cultura e stato sociale. Se riesce a fare questo ha fatto il suo dovere». Bisogna ristrutturare la Rai, tre canali sono troppi, secondo Lucia Annunziata, ex presidente Rai e oggi anchorwoman (“In 1/2 ora”), che, nel suo intervento nel panel sull’informazione, ha proposto una rete di intrattenimento, una di informazione e tutto il resto online: «Avere un unico canale per l’informazione significherebbe concentrare là il meglio. Sulla rete potrebbero trovare più spazio i tg regionali e gli esteri. Devono essere i giornalisti a decidere se vogliono i comici o no, se parlare di dieta o no, e del modo in cui trovare le notizie. Trovo scandaloso riprendere il giorno dopo solo quelle dei giornali». Per Bruno Vespa, «una rete totalmente finanziata dal canone destinata al servizio pubblico e che faccia anche intrattenimento è possibile». Infine, secondo Giovanni Floris, «un buon giornalista del servizio pubblico deve distruggere la narrazione semplificata dell’esistente e renderla più complessa».
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