Perché lo sciopero degli sceneggiatori ci riguarda

Tra i timori per l’intelligenza artificiale e diritti economici in bilico, quanto accade negli Stati Uniti può rivelarsi fondamentale per tutto l’ecosistema. Italia compresa
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Mentre riprendono le trattative tra WGA e AMPTP riproponiamo di seguito una parte dell’approfondimento pubblicato sul numero di luglio-agosto di Tivù dedicato alle ragioni della protesta

La storia insegna che quanto accaduto negli Usa avrà ripercussioni su tutto l’audiovisivo. Non solo perché i contenuti americani fanno parte di palinsesti e cataloghi globali (sebbene, come ben è noto, la produzione locale resti fondamentale), ma anche perché le richieste degli sceneggiatori scoperchiano il vaso di Pandora dei rapporti di potere e delle difficoltà di trovare un punto d’accordo sui profitti, a fronte di trimestrali che parlano di un successo dopo l’altro, nonostante ben pochi operatori abbiano trovato la profittabilità con il business direct-to-consumer. Il sistema italiano manca ancora di certe componenti prettamente industriali, ma vale comunque la pena studiare la lezione americana, non fosse altro per rendersi conto dei punti ciechi del difficile rapporto tra chi produce e chi crea i contenuti.

IL COMPLESSO RIASSETTO DELL’INDUSTRIA

Secondo le stime della WGA, le modifiche proposte al contratto collettivo MBA (Minumum Base Agreement) costerebbero al settore collettivamente 429 milioni di dollari all’anno, di cui circa 343 milioni attribuibili a otto dei maggiori committenti. Un incremento ritenuto ragionevole alla luce dei 19 miliardi di dollari stimati per la spesa di contenuti originali destinati ai servizi di streaming del 2023. La controproposta di AMPTP, invece, avrebbe comportato un aumento di 86 milioni di dollari l’anno, 48% dei quali dovuti all’incremento dei cosiddetti minimum , i compensi base. Non, dunque, dei residual , ovvero i compensi per il riutilizzo dei materiali dovuti agli autori accreditati e che comporterebbero quindi costi incrementali. L’accusa principale rivolta ai committenti è quella di aver trasformato la professione autoriale in una «gig economy», non più sostenibile economicamente. E sono diversi i fattori a concorrere alla precarietà di un settore che è sì sempre stato composto da liberi professionisti, ma che si è strutturato in modo tale da garantire continuità ai lavoratori.

SCONTRO SUI NUMERI

Dopo anni di crescita (di ricavi) è venuto il momento per gli sceneggiatori (ma anche per le altre categorie) di chiedere l’accesso agli introiti. Il che si traduce, appunto, in una nuova valorizzazione dei residual , stabiliti naturalmente prima del boom dell’on demand. La domanda di fondo è quella che più parti dell’industria si fanno da tempo: se un contenuto diventa popolare in tutto il mondo chi ne trae guadagno? E quanto? Una delle richieste della WGA riguarda appunto i residual  per lo streaming all’estero e in particolare quelli per gli HBSVOD (high budget Svod). Oltre ai residual  per le ritrasmissioni e trasmissioni sul territorio statunitense, i diritti degli sceneggiatori si estendono alla diffusione fuori dai confini nazionali dei contenuti da loro creati. Va da sé che, alla luce della possibilità di una copertura globale da parte delle piattaforme, i professionisti abbiano rivendicato di aggiornare tali quote. La WGA chiede di basare residual sul numero di abbonati extra-Usa delle piattaforme, stabilendo le percentuali sulla base di tali cifre (i conteggi partono da una base abbonati inferiore ai 20 milioni). La AMPTP sarebbe favorevole, ma solo per gli streamer più importanti, rilanciando con soglie e percentuali decisamente inferiori a quelle richieste dalla controparte.

Nel momento in cui lo scenario dell’on demand sta cambiando pelle e mette in campo nuove strategie non più destinate soltanto a incamerare nuovi utenti, ma a preservare la base, sembra che studios e streamer stiano lottando per evitare voci di spesa che tra qualche anno potrebbero diventare un problema con i ritmi di produzione di oggi. Se le serie non sono più disponibili, non ci sono residual  da pagare, togliendo così una fonte di guadagno ai creatori. Cosa succederà dunque d’ora in avanti? A prescindere da come si concludano le agitazioni negli Stati Uniti, è chiaro che le decisioni prese oggi si rifletteranno sull’industria – e sui lavoratori – di domani. (di Eliana Corti)

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