Pasquale Romano: questione di equilibri

Pasquale Romano è il “dottore” di Affari tuoi, ma è ancora di più uno degli autori di punta dell’intrattenimento televisivo italiano, oltre che una “testa pensante” di e su questo genere.L’intervista completa è stata pubblicata su Tivù di aprile 2025, scarica il numero o abbonati qui 
Pasquale Romano (ph Stefano Pinci - Tivù aprile 2025)

La sua ultima intervista di copertina a Tivù risale a 15 anni fa, agli esordi della sua esperienza in Toro Produzioni. Facendo mente locale, mi sono resa conto che i programmi che funzionavano allora sono gli stessi di adesso, mentre nel frattempo la serialità si è evoluta. Come mai l’intrattenimento è così refrattario ai cambiamenti?
È una questione di pubblico, che naturalmente tende a invecchiare, e avendo l’intrattenimento la funzione di intrattenerlo, punta anche ad accompagnarlo in questo cambiamento generazionale, tentando al contempo di agganciare più fasce d’ascolto possibili. Per questo la sperimentazione si muove più nel solco della conservazione della struttura dei programmi, quindi della tradizione, ma allo stesso tempo segue anche un’ottica di un rinnovamento costante dei singoli elementi che la compongono, da qui l’innovazione. E Affari tuoi in tal senso è un esempio emblematico. C’è poi tutta una questione di tempi di produzione che si sono estremamente velocizzati, cosa che va spesso a scapito del “rischio”; di conseguenza, si tende a usare dei titoli che siano quasi una garanzia d’ascolto rispetto a una sperimentazione che avrebbe bisogno di tempi di elaborazione più lunghi e, pertanto, di nuovi investimenti.

Si fa affidamento, dunque, sulla memoria del pubblico, sulla sua voglia di trovare contenuti riconoscibili.
Certo, e si tratta di un andamento non solo italiano, perché comunque il recupero in chiave moderna di format del passato costituisce da tempo un vero e proprio genere a livello globale. Si punta su programmi storici, capaci di catturare immediatamente l’attenzione. La serialità viene scelta dal pubblico in virtù della trama o dei protagonisti, mentre l’intrattenimento deve andarsi a cercare la propria platea, se la deve guadagnare, e l’aggancia se le offre un contenuto che la interessi e che al contempo non la disturbi, che in qualche modo la rassicuri nei suoi gusti. Mi creda, è un equilibrio dif­ficile da mantenere: l’intrattenimento è più complesso da scrivere rispetto alla serialità, soprattutto se poi lo si fa a cadenza quotidiana e ci si pone come obiettivo di agganciare un’audience più ampia possibile. Dopo di che, dobbiamo dircelo, quello che si poteva raccontare di nuovo è già stato detto da tempo, nell’intrattenimento come nella serialità, la differenza sta ormai solo nel “come” raccontarlo.

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La storia di Affari tuoi è emblematica, visto che in assoluto è la versione meglio localizzata del format originale, tanto da avere una bibbia venduta a parte. Fermo restando che è la dimostrazione concreta della bravura degli autori italiani negli adattamenti, nell’operare così tanti interventi non si corre anche il rischio di disequilibrarne il meccanismo?
In effetti, quella di Affari tuoi è una storia piuttosto articolata ­n dal primo adattamento, quando personalmente l’ho trasformato in un day time per l’Italia, che poi è stato venduto in tanti altri Paesi. All’inizio prevedeva una durata di 18-20 minuti, che a oggi abbiamo portato a 48, che sono un’infi­nità per un gioco che potrebbe esaurirsi in 10. Ci siamo riusciti associandogli una storia, da raccontare attraverso la musica, le vicende dei protagonisti, la tensione, trasformando il concorrente in una sorta di eroe che si confronta con il meccanismo di gioco. Walter Veltroni, che è un appassionato del programma, ha sostenuto che è una sorta di rappresentazione neorealistica dell’Italia, perché attraverso il riso, la commozione, lo sconforto, l’esultanza, dipana il percorso di una persona rispetto al destino.

È la mutazione da game show a people show subita dal programma?
Non proprio, perché il people show prevede che il concorrente in qualche modo si esibisca, da noi invece semplicemente gioca, raccontando allo stesso tempo la propria storia. È più un emotainment, per questo credo che il personale stile di conduzione di Stefano De Martino funzioni così bene. Ogni puntata è una tranche de vie dei concorrenti, che personalmente invito sempre a essere autentici nella loro unicità. Ed è un approccio che – anche a giudicare dai commenti online – paga, perché il pubblico si sente coinvolto nel meccanismo e commenta le mie offerte o le musiche che proponiamo. Con i social abbiamo un riscontro immediato su ciò che funziona o meno, diverso da quello che ci restituisce l’Auditel l’indomani.

È come mettere continuamente alla prova il rapporto col pubblico.
L’obiettivo è produrre un ascolto attivo e di continua sintonia. Prendiamo l’esempio della Lotteria: di per sé, inserire un biglietto da 5 euro nel gioco potrebbe sembrare una scelta marginale. Ma poi vedi la reazione del pubblico, che lo vive come un momento topico del percorso dei concorrenti: è in questi passaggi che comprendi come un dettaglio possa diventare un punto di svolta che aggiunge curiosità e coinvolgimento. Lo stesso vale per altri elementi: terminata la fase della Lotteria, magari avverti la necessità di un momento che riporti la tensione emotiva verso un apice. Così nasce l’idea di inserire un nuovo elemento come il “piatto tipico”, che diventa un pretesto narrativo per dare al conduttore un’occasione per esultare, per rendere ­sica l’emozione del gioco. Queste scelte non vengono fatte a priori, ma si sviluppano in corso d’opera, osservando le dinamiche e il riscontro del pubblico. L’intrattenimento, alla ­ne, è un continuo processo di ascolto. Non basta avere un format di successo e ripeterlo in modo rigido: bisogna sempre creare nuovi stimoli, che siano legati al cast, alle dinamiche di gioco, alle sorprese inaspettate. Pensi al mio ruolo del “dottore”, che ormai è diventato un elemento mitico del programma. Il pubblico si affeziona, commenta, si lascia coinvolgere. Ma il vero segreto è evitare la prevedibilità: se il concorrente intuisce troppo presto il meccanismo del gioco, lo spettatore da casa lo segue con meno interesse. Ecco perché ogni sera il mio lavoro è pensare a strategie non ripetitive.

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Stefano De Martino si è messo al servizio del programma.
Esatto. Ancora oggi, anche se ormai ha trovato il proprio linguaggio, rimane sempre attento a rispettare l’anima del format. Ha un codice corporeo molto forte: è fi­sico, si avvicina ai concorrenti, li abbraccia, corre, scherza, balla. Questo è un aspetto fondamentale perché Affari tuoi è un programma diffi­cile da condurre. In altri game show puoi contare su una scaletta ben de­finita. Qui, invece, ci sono momenti di vuoto che vanno riempiti. E se il conduttore non è in grado di gestire quelle pause, il ritmo si spezza. Ecco perché lavoriamo continuamente sulle musiche, sulle interazioni, sulle gag, sui momenti telefonici: tutto serve a mantenere acceso il gioco, anche quando la partita sembra volgere al peggio. È un equilibrio sottile, ma è proprio questo che rende Affari tuoi un’esperienza coinvolgente per chi lo guarda.

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Diverse volte ho sentito Pier Silvio Berlusconi criticare Affari tuoi in quanto programma non compatibile con la missione del servizio pubblico, visto che i concorrenti vincono dei soldi senza dimostrare alcun talento o abilità. Ne fa una questione di opportunità.
Ma è solo un gioco, il classico gioco della fortuna, come quando qualcuno tenta la sorte al Lotto. Solo che anziché i numeri il programma racconta le storie dei singoli inquadrandole in una coralità che – attraverso le regioni – rappresenta tutto il Paese. Potrei dire che il talento richiesto ai concorrenti sia proprio la loro autenticità, mentre l’abilità del format sta nel portare sullo schermo storie in cui il pubblico si riconosce e a cui si affeziona.

Fin dalla conduzione di Paolo Bonolis è andato in scena un aspro duello tra Affari tuoi e Striscia la notizia, di cui periodicamente si risentono ancora degli strascichi. Cosa c’è nel meccanismo di gioco del programma che lo rende così “controverso”?
Non c’è nulla di controverso nel meccanismo di Affari Tuoi. Ne è la prova che è un format adattato in più di 80 Paesi e in nessuno di questi, in 25 anni, sono mai sorte problematiche di questo tipo, nonostante tutti gli adattamenti abbiano la stessa impostazione. Si tratta di un game show basato essenzialmente sulla fortuna, come ce ne sono tanti altri nel mercato globale dei format. Il fatto è che in Italia si è inserito in prima linea, sin dal suo esordio oltre 20 anni fa, in una fascia strategica che ­no ad allora era stata ad appannaggio solo del principale competitor. Evidentemente attaccare il programma, insinuando dei dubbi sulla sua regolarità, è stato il loro modo per provare a contenerne il successo. Ma la prova dell’assoluta trasparenza di Affari tuoi è data dal fatto che non è mai stata dimostrata l’esistenza di alcuna irregolarità.

Al netto di queste insinuazioni, di fatto oggi Affari tuoi si trova spesso quasi a doppiare gli ascolti di Striscia, mentre ai tempi ve la giocavate alla pari. Siete diventati più bravi voi o hanno perso terreno loro?
Non si tratta di bravura, ma di linguaggi televisivi: probabilmente il linguaggio di Affari tuoi oggi risulta più contemporaneo rispetto a quello di Striscia, che probabilmente ha un format più consumato nel tempo. Questo non signifi­ca che gli equilibri non possano cambiare tra qualche anno. Probabilmente, l’inclusività e l’imprevedibilità del nostro gioco lo rendono un prodotto più attuale.

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Molti autori denunciano che da noi sia difficile creare format made in Italy.
Non sono d’accordo, la verità è che da noi c’è un problema di mercato. In Olanda, ad esempio, ci sono intere strutture dedicate a sviluppare format da vendere all’estero. In Italia, invece, facciamo una tv pensata per essere consumata subito. Io stesso ho creato format come Ora o mai più e I raccomandati, ma la difficoltà sta nel tempo e nei budget dedicati alla sperimentazione. All’estero, spesso vendono format di cui esiste solo il pilota, realizzato in maniera impeccabile. Da noi, invece, si tende a considerare il pilota un costo extra, anziché un investimento. La verità è che in Italia non è stata in grado di darsi un’industria dell’intrattenimento, siamo fermi all’artigianato.

Abbiamo vissuto l’epoca dei reality, poi quella dei talent, oggi sembra il momento del dating. Pensa che sia un trend duraturo o vede all’orizzonte un altro genere dominante?
Più che di tendenze, parlerei di capacità di raccontare. Un programma funziona se la narrazione è forte e immediata. Il successo di Temptation Island sta tutto in una dinamica semplicissima, quasi archetipica: due persone devono decidere se stare insieme o lasciarsi. Lo stesso vale per Affari tuoi: bastano pochi secondi per entrare nella partita. Un format vincente deve essere riconoscibile, quasi radiofonico. Se aggiungi troppi elementi, rischi di perdere la sua forza narrativa.

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