La Corte Ue interviene sui limiti di affollamento adv italiani

Spetta al giudice nazionale stabilire se la normativa italiana che prevede limiti di affollamento diversi tra tv in chiaro e a pagamento intendeva tutelare gli spettatori o favorire le tv free. Queste sono le conclusioni dell’avvocato generale Juliane Kokott in merito alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tar del Lazio davanti alla Corte di giustizia Ue. Il caso nasce a seguito del ricorso di Sky Italia presso il tribunale amministrativo dopo la multa imposta da Agcom per aver violato il 5 marzo 2011 il tetto di affollamento adv del 14% (oggi è al 12% per le tv pay contro il 18% delle tv in chiaro). L’avvocato generale ha suggerito alla Corte di giustizia Ue di conferire al giudice nazionale il compito di stabilire gli obiettivi che il legislatore italiano intendeva perseguire adottando tale normativa. La direttiva Ue stabilisce un tetto massimo del 20% l’ora senza differenziazioni, ma consente agli Stati di introdurre norme più rigide, come fatto dall’Italia. Se la norma è stata prevista per tutelare i consumatori dalla pubblicità eccessiva, allora «i limiti di affollamento differenziati sono compatibili con il principio di parità di trattamento» (articolo 56 TFUE). Se, al contrario, lo scopo del legislatore è stato quello di garantire alle tv in chiaro «in modo forse intenzionale» maggiori entrate pubblicitarie e quindi un maggiore finanziamento, la norma rappresenta una violazione del principio di parità di trattamento. Nel caso siano stati perseguiti entrambi gli obiettivi, occorrerà verificare quale dei due sia preponderante.

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