La killer application dell’intelligenza artificiale sarà la riduzione dei costi o l’esplosione della creatività? Alla luce degli sviluppi, conflitti legali e potenzialità emersi finora, la risposta (sempre ammesso che ce ne sia una univoca) appare ancora lontana. Secondo le previsioni di Deloitte, però, nonostante l’ampio dibattito e il dispiegamento di forze e annunci in materia, i grandi studios (in particolare in Europa e negli Stati Uniti) opteranno per un approccio piuttosto cauto nell’adozione dell’intelligenza artificiale generativa nella creazione di contenuti, tanto che il budget di produzione dedicato a questi tool potrebbe essere inferiore al 3%. Verrà invece destinato il 7% delle spese operative a nuovi tool di IA generativa, a supporto di funzioni quali gestione dei contratti e dei talent, permessi, pianificazione, marketing, pubblicità, localizzazione, doppiaggio dei contenuti.
L’uso dell’IA appare sdoganato (e talvolta auspicato) soprattutto sul versante più “burocratico” dell’audiovisivo. «Gli studios sperimentano, ma potrebbero essere cauti nell’applicarla all’intera produzione. Questo a causa di tool ancora poco affinati, le sfide della creazione di contenuti con gli attuali modelli pubblici (di IA) che potrebbero esporre la loro affabilità e minacciare la difesa delle IP». Sembrano invece essere più audaci, dice Deloitte, gli artisti e i creator indipendenti, che paiono adottare molto più rapidamente quegli stessi tool su cui gli studios sembrano più cauti, «permettendo potenzialmente a nuove forme di media di emergere, che potrebbero ulteriormente creare svantaggi agli studios tradizionali che competono anch’essi per la scarsa attenzione del tempo». Creare contenuti audiovisivi del livello della produzione di Hollywood tramite intelligenza artificiale appare dunque oggi ancora costoso: questa tecnologia è preferita per attività corollari, per esempio svecchiare attori o attrici, creare gemelli digitali o riportare in video star decedute.
L’IA, è noto, ha reso più veloce la prototipizzazione di script, dialoghi, elementi della storia, visualizzazione ai primi stadi di personaggi e set design. Tutte fasi della preproduzione, mentre a livello produttivo sarebbe ancora prematuro: «l’output è ancora troppo iper-realistico», è una delle principali critiche. Mentre i creator indipendenti “giocano”, per così dire, con quanto oggi a disposizione, gli studios restano ancora alla finestra, pur correndo il rischio che «i contenuti UGC (user generated content, ndr.) diventino sempre più competitivi rispetto ai media tradizionali». Le ragioni per questa prudenza non sono di poco conto e hanno a che fare con la protezione della merce più preziosa per l’industria, le IP. Dopo un articolo del The Atlantic che rivelava l’uso di decine di migliaia di episodi di serie e lm da parte dalle grandi tech company per sviluppare i propri sistemi di intelligenza artificiale, lo scorso dicembre la WGI – il sindacato degli sceneggiatori USA – si è rivolta ai big del settore (i Ceo di WBD, Disney, Paramount, NBC Universal, Sony, Net‑ix, Amazon MGM Studios) accusandoli di non aver protetto le loro opere. «Dopo che questa industria ha speso decenni combattendo la pirateria, non può rimanere inerte mentre le tech company rubano intere library di contenuti per il proprio guadagno economico», ha dichiarato il sindacato, ricordando che l’accordo siglato recentemente dopo mesi di sciopero impone agli studios di difendere il copyright per conto degli sceneggiatori. Il tema, dunque, è caldo.
Ricorda Deloitte: «se uno studios usa un modello pubblico (di IA) per profitto e quel modello include opere protette, esso potrebbe essere ritenuto responsabile di violazione». Il 2025 sarà un anno in difesa? Ci sarebbe una seconda opzione, ben più onerosa, ovvero lo sviluppo di modelli proprietari di intelligenza artificiale, ma questo comporterebbe risorse non indifferenti, dato che lo sviluppo di un modello all’avanguardia di intelligenza artificiale generativa potrebbe costare almeno 100 miliardi di dollari, un costo che cresce con l’utilizzo e il riaddestramento. E in epoca di tagli non appare la soluzione più efficiente. Meglio cercare alleanze con le big tech anche se, come ribadito più volte, resta sempre lo scoglio legale e regolamentare da definire e oggi (al netto di tentativi come l’AI Act europeo) ancora difcile da inquadrare. Deloitte ipotizza partnership tra studi e provider per condividere i costi, con una terza parte che potrebbe fornire un modello pre-addestrato e un’interfaccia che verrebbe ulteriormente addestrata e personalizzata con i contenuti di proprietà dello studio, come per esempio personaggi e set specifici. È in sostanza quanto fatto da Lionsgate con Runway, chiamata a costruire un modello di IA customizzato sul portfolio di contenuti dello studios. «Gli studi potrebbero così gestire meglio eventuali problemi di proprietà intellettuale dimostrando che (quanto prodotto) sono derivazioni dai loro contenuti originali».
Se la parte creativa risulta tuttora in fase interlocutoria, l’uso dell’intelligenza artificiale appare ben più strutturato in altre aree di business, per esempio nell’automatizzazione e miglioramento della gestione dei contratti, management di talent e forza lavoro, operazioni quali localizzazione dei contenuti, promozione e marketing, finanche lo scouting delle location che potrebbero adattarsi agli script. Sono orma assodati gli usi di modelli di voce e linguaggio per la traduzione e doppiaggio dei contenuti: «Questo potrebbe essere un vantaggio per creatori e distributori che si rivolgono ai mercati globali, sia nell’esportazione che nell’importazione. Le piattaforme principali di creazione di user-generated content hanno esteso queste opzioni ai loro utenti», ricordano i ricercatori. E man mano che le opzioni si afiflano, come già vediamo oggi con la crescita di YouTube come “rivale e alleato” della tv tradizionale (cfr. intervista pag. 42), verrà sempre meno quella «scarsità di contenuti e distribuzione» che ha reso Hollywood quella che era. Una scarsità che, come hanno già dimostrato gli streamer e il tramonto della peak tv, ci siamo già lasciati alle spalle. «Un anno fa si pensava che entro il 2030 si sarebbe potuto creare quasi un intero blockbuster film con l’IA. Nel 2025 quel “nobile” obiettivo potrebbe sembrare più vicino». Ma chi guarderà quei contenuti? Le conclusioni di Deloitte ricordano molto gli interrogativi che dalla diffusione di social media, streamer e gaming ci si continua a porre, ovvero la frammentazione di quella che è oggi l’unica risorsa non tecnologicamente replicabile, il tempo umano. Gli studios più piccoli potranno produrre più velocemente e in maniera più efciente grazie all’IA; i più grandi dovranno accelerare ulteriormente per competere: «non solo tra loro, ma anche con piattaforme di contenuti user-generated, social media e gaming. La produzione e la distribuzione potrebbero diventare meno rare, ma l’attenzione resta una risorsa limitata».
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