Dare un senso al RomaFictionFest

E cinque.. La quinta edizione del RomaFictionFest ha chiuso i battenti il 30 settembre scorso, dopo sei giorni passati all’interno dell’Auditorium Parco della Musica che ha ospitato per la prima volta la manifestazione. Una serata di inaugurazione, il 25, baciata dalla fortuna, grazie alla presenza di Jim Belushi, unica star internazionale accorsa nella Capitale per ricevere l’Excellence Award e tenere la prima delle cinque masterclass. Le rimanenti quattro hanno puntato i riflettori su temi come l’adattamento dei format e l’internazionalizzazione, piuttosto che su personaggi come Gina Matthews e Grant Scharbo, coppia produttrice di Missing (Abc) e Tom Fontana, autore di Oz e I Borgia. Tre i convegni previsti, due dei quali riguardanti l’adattamento dei format e l’offerta dei ragazzi, mentre il terzo – quello istituzionale organizzato in tandem da Regione Lazio e Apt sul “Fondo Regionale per il cinema e l’audiovisivo del Lazio: una prospettiva internazionale” – è stato sospeso alla vigilia per indisponibilità dei rappresentanti della Regione, defaillance che ha costretto Apt a organizzare un incontro alternativo – e imprevisto – a fine manifestazione. Quattro le keynote con Pupi Avati e Luca Barbareschi, mentre altre due sono state focalizzate sul rapporto tv e famiglia e la tv al tempo della guerra. Altrettanti gli omaggi a quattro giganti della tv e del cinema italiani, ricordati all’interno della retrospettiva “Noi ridevamo”, ovvero Walter Chiari, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi. L’area Industry invece, come riportato dal comunicato ufficiale, avrebbe richiamato «57 ospiti internazionali (tra cui 40 responsabili acquisizioni dei principali broadcaster stranieri e 17 produttori e co-production executives) provenienti da 27 nazioni e 46 società; 103 professionisti italiani accreditati tra produttori e rappr esentanti dei maggiori broadcaster; 4 showreels che presentano 48 nuovi titoli di fiction italiana; 3 masterclass e oltre 100 appuntamenti prenotati one-to-one tra produttori e produttori internazionali». Questo, al netto di eventi speciali, uno dei quali (affollatissimo) è stata la serata dedicata allo scomparso Carlo Bixio e alla sua Publispei, e anteprime varie è stato il festival, almeno quello che si poteva intravedere sulla carta. Ma com’è ovvio che sia c’è stato dell’altro, a partire da una presidente della Regione, Renata Polverini, contestata dai lavoratori della precedente edizione non ancora pagati. Per il resto, se lo spostamento delle date da luglio a settembre ha permesso di avere a disposizione un maggior numero di prodotto italiano inedito, dall’altra l’assenza del concorso internazionale non ha consentito di fare il punto sull’offerta più alternativa di fiction. E se la Polverini & company alla vigilia si sono spinti a porre l’accento sulla necessità di fare una grande festa popolare, l’obiettivo non può dirsi raggiunto perché le presenze di pubblico “spontaneo” (nel senso che non fossero maestranze varie e conoscenti fatti affluire all’uopo) – se si escludono alcuni eventi – sono state veramente risicate e la manifestazione a tratti è parsa pericolosamente autoreferenziale. Certo la concentrazione di tutti gli appuntamenti all’Auditorium è stata logisticamente positiva, ma scenograficamente penalizzante: vuoi mettere la maestosa eleganza di via della Conciliazione, e di San Pietro, del Lungotevere e di Castel Sant’Angelo? Ergo, non è stato centrato uno dei cinque punti che nell’editoriale del settembre scorso ponevamo come essenziali per la sopravvivenza stessa del festival. Come ha lasciato a desiderare la presenza del cosiddetto star system nostrano: se non fosse stato per l’evento Publispei e per quello dedicato ai 20 anni di Taodue, sarebbe stato quasi esclusivamente a carattere promozionale. Alquanto timida la copertura televisiva della kermesse, incomprensibile se si considera che si festeggiava invece una delle regine dei palinsesti, comprensibile solo in una logica opportunistica (e un po’ masochistica) che spinge i network a non voler dare visibilità a una manifestazione che propone anche il prodotto della concorrenza. Senza dire che, se si esclude la conferenza di chiusura di Apt, non c’è stato modo di approfondire le emergenze del settore. È stato quindi tutto da buttare questa quinto Rff? Diremmo di no. A difesa degli organizzatori depone il fatto che la manifestazione è stata messa a punto in soli due mesi (per di più estivi), ma pare che per la prossima si cominci a lavorare subito. E se si esclude la facile demagogia sulla sua presunta sobrietà, a causa di un budget dimezzato a circa 3mln che l’avrebbe addirittura migliorato (sarà facile quindi attendersi scintille per l’edizione 2012, ora che la Camera di Commercio ha ammesso che metterà a disposizione meno risorse…), antipatie politiche a parte, quello che è andato in scena denuncia piuttosto un forte debito di riconoscenza verso le precedenti edizioni, gestite dalla giunta Marrazzo. Non a caso il direttore artistico e della sezione internazionale sono rimasti gli stessi. Una cosa è certa: questo festival non è stato né popolare né glamour. Perciò urge dare alla manifestazione un senso più deciso. Perché se è vero quanto sostenuto dal presidente di Apt, Fabiano Fabiani, e da Athony Root, direttore della sezione Industry, quest’ultima avrebbe funzionato a pieno regime. Con numerose trattative avviate e in via di definizione tra broadcaster e produttori (ma dalla prossima edizione gli organizzatori dovrebbero ufficializzare gli accordi realmente conclusi, precisando magari anche qual è il giro d’affari generato, visto che il prezzo orario pagato dalle poche reti straniere che acquistano le nostre fiction risulta spesso irrisorio…). Se così fosse, perché allora non marcare la connotazione della manifestazione in modo più deciso trasformandola in un appuntamento ancora più business? Perché non farne una sorta di mini o pre-MipCom di Cannes solo a beneficio degli operatori, con due-tre mega eventi aperti al pubblico che per grado di spettacolarità e concentrazione di star (nazionali e internazionali) le reti farebbero a gara ad accaparrarsi per la messa in onda? Dopo di che avremmo un piccolo spunto sul tema di un convegno che non dovrebbe mancare nell’edizione 2012: “Perché la fiction italiana risulta, paragonata a quella internazionale, tanto mediocre?”. Così facendo, gli organizzatori dovrebbero impegnarsi a chiudere in una sala le leve decisionali dei canali, i produttori, gli autori, gli attori, gli agenti, dando loro il compito di uscirne con una diagnosi chiara e una conseguente (vincolante) terapia. Questo sì che sarebbe un bel momento da festeggiare per la nostra fiction.

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