Luca Tommassini: il modello anglosassone della direzione artistica

Attore, ballerino, coreografo, Luca Tommassini ha firmato la direzione artistica di eventi quali MTV Awards 2004, i Brit Awards, Grammy, American Music Awards, i VH1 Awards, e di diverse edizioni di X-Factor UK, Spagna e Italia
Uno delle ultime e apprezzatissime collaborazioni di Tommassini è quella con Fiorello e VivaRai2! (©UsRai)

Nella sua carriera ha rivestito un po’ tutti i ruoli sul palcoscenico: attore, coreografo ballerino… Secondo lei, per fare il direttore artistico c’è bisogno di tutto questo?
In Italia c’è un atteggiamento ancora un po’ ambiguo su questa figura. Io mi sono formato con X Factor Spagna come primo direttore artistico che entrava all’interno di un format Talent; poi ho incontrato Giorgio Gori (co-fondatore di Magnolia, poi entrata in Banijay, ndr.) che mi propose di occuparmi della versione italiana. In Italia si tende ad affidare la direzione artistica a chi presenta, al produttore o chi ha il potere di decidere. Nel mondo anglosassone è un vero e proprio mestiere per qualcuno che viene dal teatro e dalla danza o anche che ha molto stile e riesce a stare sopra a tutte le altre figure che compongono la squadra. Lo scultore Jago, mio amico, mi disse: «a te viene un’idea e quindi da quella idea tu inizi a costruire, chiami in campo le persone che ti servono artisticamente per esprimerla al meglio». Per un direttore artistico l’ideale sarebbe scegliere chi scrive, chi fa i grafici, chi disegna, chi fa la co- reografia. Quando sono fortunato è così, ma spesso entrano in gioco altri elementi. E saper scendere a compromessi fa parte del mestie- re. Riconosco per esempio in artisti come Laura Pausini una figura un po’ come la mia. Siamo entrambi di- rettori artistici, tanto è vero che fir- miamo i nostri spettacoli insieme. La vivo all’anglosassone, nel senso che per fare qualcosa di pop delle volte è bella la collaborazione, il confronto tra due menti che incrociano le loro creatività per dare vita a qualcosa di nuovo.

Da artista gestire altri artisti non crea conflitti?
Con ognuno è diverso. Con Fiorello abbiamo iniziato a collaborare 20 anni fa in Stasera pago io, e all’inizio gli curavo le coreografie, poi sono diventato il suo consulente artistico. Lo stesso Fiorello oggi ha una maturità artistica impensabile all’epoca, è un artista completo che ha studia- to teatro, danza, canto, i monologhi, ha recitato ed è uno che è pieno di idee. Siamo due direttori artisti- ci che collaborano e molto bene. Il direttore artistico non è un dittatore infallibile. Tanto è vero che, a dispetto delle migliaia di messe in scena che ho creato per X Factor, quando sono arrivati i Måneskin sono rimasto spiazzato. Giovani, bravi, figli di un’epoca recente, e pieni di informazioni, si rifiutavano di fare le mie messe in scena. La produzione era scandalizzata, ma io mi sono messo in ascolto. Li ho invitati in studio per parlarci, per capire perché pensava- no di poter fare di meglio. I ragazzi hanno iniziato ad aprirsi, raccontare i loro progetti, come si vedevano e quello che li ispirava. Avevano già una loro identità, quindi ho buttato tutto quello che avevo pensato affinché – da direttore artistico – potessi esprimere quella identità. Insieme siamo stati rivoluzionari, e  abbiamo portato in scena un’edizione di X-Factor assolutamente clamorosa.

Quanto influiscono sulle scelte le esigenze di commercializzazione e distribuzione?
Il mestiere ti consente proprio questo, perché una volta che hai la conoscenza, l’apertura mentale, l’esperienza riesci a dare un valore a quello che costruisci. Un direttore artistico competente deve saper come posizionare le sue creazioni sul mercato. Molti dei miei successi hanno varcato i confini, come il Sister Act con  Fiorello  e  Mahmood, che è stata mandata in tv da Whoopi Goldberg negli Usa. Certo, è difficile conoscere e capire a monte ciò che può funzionare a livello globale.

Si ritiene uno che influenza i gusti del pubblico o che in qualche modo cerca di intercettare i trend che esistono?
Cerco di avere presente per chi sto lavorando, per i broadcaster, per la casa discografica, chi è il mio committente. Poi si possono anche prendere decisioni un po’ azzarda- te, come con Fiorello quando sceglievamo gli sconosciuti, quelli che non vuole nessuno. Abbiamo anche scelto i super trendy che magari ci piacevano di meno, ma che avevano successo con i giovani. Il nostro scopo era intrattenere tutti, tenere una famiglia seduta davanti al televisore, cosa che non riesce quasi più a nessuno. Si può fare un prodotto artistico che possa piacere ai figli, ai genitori, ai nonni e così via.

Il direttore artistico ha a che fare con i singoli artisti e i team di supporto, quali sono le difficoltà maggiori nel gestire tante professionalità insieme?
Dipende su che isola stai perché ormai sono tutte “isole”, nel senso che dipende dalle produzioni del posto. È bene non arrivare impostati in  modo  rigido, pretendendo che le cose funzionino nel modo in cui io, in quanto direttore artistico, le ho immaginate. Bisogna stare dietro alle persone, seguirle, fare i follow up, vedere come sviluppano, a volte si perdono sulle tempistiche o decidono in modo arbitrario di fare modifiche alle indicazioni ricevute. E questo crea problemi a tutta la squadra. Io ricevo centinaia di WhatsApp a tutte le ore che mi tengono aggiornato su ogni minimo dettaglio del progetto.

Qual è il suo rapporto con la tecnologia nelle esperienze di intrattenimento?
È uno strumento che ti consente di raggiungere picchi e possibilità espressive che ieri erano impensabili e a costi sempre più bassi. Fino a pochi anni fa in Italia il cantautore era un cliché, un triste uomo con la chitarra seduto su una sedia, ma nello stesso periodo i video glamour di Paola e Chiara conquistavano il mondo. Per ogni canzone di Eurovision si dedicano sei mesi di lavoro, per scegliere la migliore espressione scenica possibile. Ma se poi un arti- sta ritiene di essere più forte sul palco con la pancia, la barba, la chitarra e solo una luce addosso, prego…  Il portoghese Salvador Sobral lo ha fatto e ha vinto (nel 2017, con la canzone Amar pelos dois, ndr.), presentandosi senza ballerini o effetti, ma con una grande carica emozionale che non necessitava di altro.

Secondo lei da qui a 5/10 anni cosa vedremo in televisione?
L’intelligenza artificiale creerà messe in scena sempre più potenti, ma io credo che quello che farà davvero la differenza sarà l’umanità. Ben venga tutto, presentazioni incredibili, scenografie straordinarie, espressioni così perfette da affascinare tutti, scrittori, registi, cantanti. Però penso che,  poi, quando  appare  l’essere umano autentico che ci mette l’arte vera, il cuore e l’anima, vincerà sempre su tutto. . (di Maria Pierangeli)

L’articolo completo è stato pubblicato su Tivù di luglio/agosto  2024, scarica il numero o abbonati qui 

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