Audiovisivo al femminile, una corsa al ralenti

Il ruolo delle donne nell’industria cresce, ma non abbastanza da coprire del tutto il gender gap. Carenza e disomogeneità di dati evidenziano ancora molti ostacoli
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Tivù ripropone di seguito una parte dell’approfondimento dedicato alle professioniste, pubblicato sul numero di giugno

Sono passati quasi tre anni dalla campagna “50/50 by 2020”, lanciata al Festival di Cannes nel 2016 dallo Swedish Film Institute con l’obiettivo di raggiungere  la parità di genere nell’audiovisivo. Ci  sono stati progressi da allora? Certamente, ma a guardare i dati la corsa delle professioniste appare  più una maratona…ad ostacoli. E prima di tutto perché proprio i numeri a disposizione non sono così esaustivi come dovrebbero (come raccontato, per esempio, dalla giornalista Caroline Criado-Perez in Invisibili , Einaudi Stile Libero). Però, alcune cifre ci sono ed evidenziano una lenta progressione, seppur disomogenea. Da questi occorre dunque partire per fornire un quadro se non definito perlomeno indicativo delle aree di intervento.

LE PROFESSIONISTE IN EUROPA

L’Osservatorio europeo dell’audiovisivo ha recentemente pubblicato l’aggiornamento del suo report Female audiovisual professionals in European TV fiction production relativo all’annualità 2021. La quota  di professioniste attive nell’audiovisivo europeo è pari al 26% nella regia, al 45% nella produzione, al 39% tra gli autori, al 9% tra i direttori della fotografia, all’8% tra i compositori e il 45%. in ruoli attoriali principali. Dal 2015 al 2021 la quota è passata dal 26% al 32%, mentre la quota di opere a regia femminile è incrementata dal 18% al 22%. Nello stesso lasso di tempo, era femminile la firma del 23% delle regie: 943 contro 3.197 registi, con una presenza maggiore (698 contro 2396) nei formati da 2-13 episodi, quello più in uso attualmente. Più bilanciato il mondo della produzione, con un 45% di professioniste attive (39% nel 2015)

SERVIZI PUBBLICI: VERTICI PIÚ ATTENTI

I media di servizio pubblico vedrebbero una maggiore presenza di donne in ruoli dirigenziali. Lo evidenzia il Gender Equality and Public Service Media di Ebu. Le tv pubbliche sarebbero dunque più attente alla parità di genere rispetto al settore commerciale, dove le amministratrici delegate sono l’8% e le presidenti di cda il 10%. A livello corporate i Paesi Ebu (55 quelli analizzati) danno lavoro diretto a 114mila donne, circa il 45% della forza lavoro (contro il 37,7% dell’intero settore audiovisivo europeo). La presenza maggiore si ha nei ruoli manageriale di livello basso (45,7%) mentre le Ceo sarebbero il 29,1%. A contribuire a questa differenza nella compagine aziendale c’è anche una ragione di mission: il 67% dei servizi pubblici ha infatti implementato una strategia DE&I (diversity, equity e inclusion). Solo il 33% dei servizi pubblici ha tra i propri target la racconta di dati sulla rappresentazione di uomini e donne nei propri contenuti. Quindi, c’è chi analizza la proporzione in termini di presenza, tempo di parola, ruolo nei programmi, nell’informazione e nella fiction, e così via. Nella fiction, invece, c’è qualche passo avanti in più, con il 40% di personaggi femminili: il 38% nelle principali produzioni Rai (ma 42% nel 2019) e il 45% in tutti i film e le serie tedesche. Ha invece raggiunto la parità di genere nei ruoli principali Netflix: con protagoniste o co-protagoniste presenti nel 48,4% dei film e il 54,5% delle serie. Eppure, quel 50% – in ogni frangente – sembra ancora lontano.

I NUMERI ITALIANI

Per quanto riguarda l’industria italiana, viene in aiuto la Valutazione di impatto della Legge cinema e audiovisivo dei Mic. I dati (fonte Inps), pubblicati nel 2023, sono relativi al 2021 e – a un primo sguardo – appaiono certificare il raggiungimento della parità, con un 51,82% di donne impiegate dalle imprese di Programmazione e trasmissione Tv (60.20.00) e il 53,85% nelle imprese di Postproduzione (59.12.00). Si tratta però di una distribuzione disomogenea; la forza lavoro femminile si trova soprattutto in quei mestieri considerati tradizionalmente “da donne”: truccatori e parrucchieri (77,26%) e scenografi, arredatori e costumisti (68,66%), mentre fra i direttori d’orchestra siamo al 7,25%. Non vicina al 50%, ma comunque in buona posizione la quota di regia (43,02%), produzione e direzione di scena (45,14%) e di doppiaggio (45,88%). Persiste il divario salariale. (di Eliana Corti)

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