La nota vicenda che ha scosso il cuore del Festival di Sanremo 2023, e che ha coinvolto Instagram e la Rai lambendo il confine sfumato tra comunicazione e pubblicità, è arrivata a un epilogo. La vicenda si chiude infatti con una sentenza destinata a fare giurisprudenza: il Consiglio di Stato ha confermato la multa da 123.498 euro inflitta dall’Agcom alla Rai per pubblicità occulta al social network Instagram.
Al centro del caso, l’utilizzo massivo e reiterato della piattaforma durante le serate del Festival, con dirette su Instagram condotte da Amadeus, Gianni Morandi, Chiara Ferragni e Fiorello, in un mix di intrattenimento e strategia crossmediale che ha portato – secondo i giudici – a un effetto promozionale chiaro e tangibile, a vantaggio non solo del social ma anche della stessa Rai.
La decisione del Consiglio di Stato, contenuta in una sentenza pubblicata nei giorni scorsi, non lascia margini di ambiguità. Secondo i giudici di Palazzo Spada, “l’esplicito e reiterato riferimento ad uno specifico social network” da parte dell’emittente pubblica ha avuto un evidente impatto promozionale, che “non poteva essere ignorato” da un operatore come la Rai, titolare di servizio pubblico e quindi soggetta a obblighi di trasparenza e correttezza nella comunicazione audiovisiva.
Pur in assenza di un contratto formale tra la Rai e Meta (la società che controlla Instagram), il Tribunale ha ribadito che l’effetto pubblicitario si è verificato in modo inequivocabile. Le immagini del profilo Instagram di Amadeus mostrate in onda, i collegamenti live durante la trasmissione e il coinvolgimento diretto di Chiara Ferragni – influencer da 29 milioni di follower – sono stati interpretati come parte di una strategia mediatica ben definita, il cui ritorno in termini di visibilità ha coinvolto tutte le parti: la Rai, la concessionaria Rai Pubblicità e il social network.
La linea difensiva della Rai – secondo cui mancava la prova di un accordo economico – non è bastata. Il Consiglio di Stato ha infatti sottolineato che, date le competenze professionali e il ruolo pubblico dell’azienda, essa avrebbe dovuto prevedere le conseguenze della sua esposizione mediatica a favore di un marchio. Ecco perché, per i giudici, si configura la violazione della disciplina di settore sulle comunicazioni commerciali, che impone chiarezza e riconoscibilità del contenuto promozionale.
La sanzione confermata dai giudici è una delle due originariamente inflitte dall’Agcom: la prima, più alta (175.143 euro), era stata annullata dal Tar del Lazio, mentre la seconda – quella da 123.498 euro – è stata riconosciuta come pienamente legittima. Il ricorso della Rai al Consiglio di Stato non ha dunque portato all’annullamento auspicato, ma ha cristallizzato un precedente rilevante per il mercato televisivo e la regolamentazione della pubblicità indiretta.
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