C’è una parola d’ordine che viene ripetuta con insistenza e con una certa convinzione dai grandi boss internazionali del mercato televisivo, ed è “transizione”. Ma cosa vuol dire questo termine? Cosa nasconde? A livello globale si continua a sentire di piattaforme e broadcaster che provano a riposizionarsi a fronte della suddetta fase di transizione, riducendo la propria forza lavoro per ottimizzare i costi di gestione. La scure si è abbattuta anche sui contenuti, con il taglio degli investimenti (eufemisticamente gli operatori dicono di essere diventati più “selettivi”) e l’abbandono del modello di esclusività dello streaming, anche perché canali e piattaforme si sono resi conto che le licenze sono un’alternativa più economica per rimpinguare la propria offerta.
Paradossalmente, il business aumenta – “gira” più prodotto – ma non a valore. Quindi, volendo andare a vedere il reale significato del termine transizione applicato al mondo tv, spesso bisognerebbe tradurlo con incertezza, a volte con crisi. E in Italia? È certamente in transizione il servizio pubblico, con un palinsesto ancora in fase di assestamento, un presidente che – al momento di andare in stampa – fatica ancora a essere nominato, e una concessionaria che ha appena subìto la fuoriuscita dell’ad che l’ha brillantemente amministrata negli ultimi sei anni, e che è stato fortunatamente sostituito al volo. Ancora più in generale tutto il mercato della produzione è in transito, gli investimenti in contenuti delle piattaforme e quindi gli stessi parametri per la formulazione dei progetti stanno subendo riduzioni, a tratti stravolgimenti e rallentamenti che non è dato ancora sapere quali “numeri” definitivi genereranno. E come negli Usa gli scioperi di autori e attori hanno creato un effetto domino negativo sulle produzioni, i rallentamenti sulle nuove disposizioni in tema di tax credit non hanno certo aiutato l’audiovisivo italiano.
Detto questo, nulla è perduto… Perché la transizione, intesa come cambiamento, può anche essere letta con un’accezione positiva, a condizione che non la si subisca e non la si trascini ad libitum nel tempo, avendo un’idea chiara del quadro competitivo in cui si opera e di come giocare al meglio le proprie chance (ovvero contenuti uniti a tecnologia). Charles Darwin diceva che «non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti». Ecco, è proprio di questo tipo di “reazioni” che ci piacerebbe scrivere nel nuovo anno che arriva, anche se – verrebbe da obiettare al dottor Darwin – per poter reggere ai cambiamenti temiamo che la “specie tv” che uscirà dall’attuale transizione non potrà esimersi dall’essere allo stesso tempo tanto forte quanto intelligente.
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